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Giochi da femmine e giochi da maschi: l’importanza di scegliere le parole per costruire il mondo che vogliamo

Ricordo che ai tempi delle scuole elementari mi piaceva giocare con Francesco, un compagno di classe alto e biondo che abitava vicino a casa nostra. Non so in che modo la vicinanza tra di noi attirò l’attenzione delle rispettive mamme, fatto sta che fummo presto etichettati come “fidanzatini”. Ancora oggi ha un suo spazio nell’album di famiglia una foto di noi due, con due sorrisi imbalsamati, in piedi sotto il pergolato a vite del giardino di casa sua. Lui mi cinge le spalle con un braccio “da bravo ometto” e io lascio cadere mollemente le braccia lungo il corpo. Forse quella è stata l’ultima volta in cui abbiamo giocato insieme. Era troppo imbarazzante ritrovarci così al centro dell’attenzione, per il solo fatto di essere una bambina e un bambino che trovano piacere a giocare insieme.

Oggi, a quarant’anni di distanza, noto che la stessa identica cosa succede con le mie nipotine e i loro “amichetti” maschi. A un legame un po’ più speciale degli altri, tra un bimbo e una bimba, viene subito data una connotazione “romantica”, anche in un’età in cui la vicinanza tra esseri umani viene guidata da impulsi istintivi, simpatia e spontaneità.

Ecco, questo forse è un tipico esempio della prima esperienza di amicizia tra maschi e femmine.

Oggigiorno si parla spesso di differenze di genere e dei tanti modi in cui donne e uomini sono diversi. In quei contesti ci si domanda anche se sia possibile l’amicizia, da adulti, tra quei maschietti e quelle femminucce che già da piccoli tendevano a dividersi in compartimenti stagni tra giochi da femmine e giochi da maschi.

Tutto sommato il destino di noi essere umani è di stare insieme, indipendentemente dal genere a cui apparteniamo, sia al lavoro che a casa. Trovo, quindi, che sia meglio farlo comprendendo e rispettando le reciproche differenze, piuttosto che rimanendo il più a lungo possibile separati, in mondi diversi e isolati.

Consentire a uomini e donne in erba di interagire liberamente tra loro fin da piccoli, sul piano dell’amicizia e del gioco, creerebbe basi migliori per un mondo in cui i rapporti tra i generi possano fluire con maggiore serenità e comprensione, sia in famiglia che nel mondo professionale.

Forse, la transizione da un mondo un cui gli uomini “considerano poco” le donne e le donne “parlano male” degli uomini passa anche attraverso una maggiore innocente promiscuità tra i bambini e le bambine, e un linguaggio più consapevole degli adulti?

Osservo una ragazzina tredicenne e un bambino di nove anni che indugiano a tuffarsi in mare da una piattaforma a ridosso degli scogli: “Io mi tuffo, se vai prima tu”. “Eh no, prima l’ho fatto io. Ora tocca a te!”. Passano i minuti e loro due sono sempre lì a fissare il pelo dell’acqua, domandandosi se quella macchia che si vede sia una medusa, facendo qualche passo a vuoto e tornando a ossevare il mare, come a misurare le distanze, la temperatura, l’effetto dell’imminente impatto con l’acqua.

Stanno lì sotto lo sguardo della mamma di lei, che assiste in silenzio. La dinamica viene interrotta brevemente da una voce che sento alle mie spalle. E’ la voce di un uomo, che non conosce nessuno dei protagonisti, ma che evidentemente sente l’irrefrenabile bisogno di intervenire: “Se sei un uomo, ti butti tu per primo. Altrimenti sei solo un bambino”. Risponde il tuffatore: “Ma io SONO un bambino!”. L’indugio si rompe e, dopo poco entrambi si tuffano. Prima la ragazzina, poi il bambino.

Le parole che usiamo creano il nostro mondo. Descrivendo ciò che siamo, non siamo, possiamo o non possiamo, ci predisponiamo o meno a vivere la vita che vogliamo.

In fin dei conti è forse proprio chi instilla, in sé o negli altri, quel senso di essere “troppo poco” rispetto a determinate aspettative, che contribuisce a riempire il mondo di uomini impotenti, donne frustrate e, più in generale, di persone che si sentono vittime delle loro stesse rinunce e scontente della propria vita.

Se ripenserete a questa condivisione e vi ricorderete di una cosa sola, riflettete su:

– La vita che vivreste lasciando che siano i soliti modi di dire a descrivervi;

– La vita che vivreste imparando a scegliere voi le parole più funzionali a costruire il futuro che desiderate.

Questa scelta ce l’abbiamo ogni giorno.

Non è una scelta facile e richiede impegno e pratica.

Tocca a noi decidere quando vogliamo iniziare a creare un linguaggio che ci consenta di agire in modo funzionale agli obiettivi che vogliamo raggiungere.